"Il vecchio saggio"


Salvatore Calabrese nell’ottobre 1953 scrisse un saggio che terminava  descrivendo l’incontro con un “vecchio saggio” nel quale certamente descriveva se stesso.
Si tratta del suo autoritratto morale e testamento spirituale


[…]. Ricordo solo che cosa dispose l’animo mio a tanta spiritualità: fu un antico tronco d’ulivo, ai cui piedi ero seduto, che, largo, contorto e ampiamente squarciato, testimoniava una continua, accanita e vittoriosa lotta col tempo e sembrava quasi volesse farsi schermo della fugacissima vita umana. Mi disse il vecchio saggio, ascolta: comprendo che sei in afflizione col tuo spirito, io ti darò pace, dopo averti aperto l’animo mio. Sappi che solo oggi, vecchio e sfinito, ho compreso dove è la Verità; ho tanto sofferto per non aver voluto vedere la via giusta; quanto cammino! quante ansie! Per aver creduta felicità quella poggiata sulle caduche, nauseanti soddisfazioni umane, (orgoglio, ricchezza, febbre di essere qualcuno). A te, io questo dico, perché tu non incorra negli stessi miei errori, negli stessi miei passati dubbi, ma perché subito tu possa sentire il vero fine della nostra vita terrena ed in funzione di esso operare; brucia le tappe, dalla mia vecchiaia fa tesoro, sarai felice, eleva il tuo inno, offriti a Dio. E continuava: fui in continuo inganno con me stesso, pur sapendo di essere infelice, perché sfuggivo la virtù e cercavo l’affermazione terrena. Stratega del mondo, con falsa modestia, amavo sollecitare il mio orgoglio, col sentirmi dire che ero furbo, intraprendente, intelligente, amavo inoltre, battitore instancabile di tappe d’arrivo, di aprirmi la via a qualunque costo, giustificato dal trionfante secolo XX, impregnato da quel pragmatismo che assoggetta la verità al dominio della mente umana e afferma per verità ciò che gli esseri umani trovano utile dichiarare per vero. Molte volte però ho da riconoscere che, operando male, agivo in buona fede; avevo, anzi mi avevano creata, una confusione nella mia mente. Con l’idea di seguire il progresso e non sentirmi meno degli altri, sempre per orgoglio, cercavo di leggere e frequentare ambienti di cultura e a furia di ascoltare un bel giorno sbandai e non seppi più se ero io il solo ad esistere o gli altri e il mondo con me. Mi abbeverai di cognizioni filosofiche, di idealismo soggettivo, oggettivo; di realismo; di razionalismo, di empirismo, di materialismo, insomma ebbi tanto appreso che un bel giorno, dopo anni di dubbi sulla mia esistenza, sull’Essere Supremo, mi convinsi elle l’uomo vuol troppo sapere e che nella lotta per conoscere se stesso e assurgere a dominatore assoluto delle leggi, finisce col
perdersi e annullarsi nel più freddo e distruttivo materialismo. Pensai, che la filosofia non era atta alla mia mente piccina ed incapace per i grandi ragionamenti; mentre riconoscevo che é bella ed il suo stadio ci porta delle soddisfazioni tenendo sveglio il senso della meraviglia
con svelarci la verità e la stranezza del mondo e delle menti umane nell’ansia di ricercare la verità, da tutti sentita, ma a tutti nascosta e gelosa da farsi interamente conoscere e possedere in questa vita. Fatto un atto di coraggio, aggiungeva il vecchio, volli tornare fanciullo, e oggi, figlio mio dopo aver pagato tanto pedaggio per passare questa vita e dopo aver tanto forzato il mio cervello per conoscere il mistero di questa nostra esistenza sensibile, tanto tormentata e infelice, ho deciso di diventare semplice, piccolo e passare senza turbare alcun equilibrio dell’ambiente ove vivo, traendo profitto della esperienza umana per elevarmi sempre più a Dio e a lui consegnarmi in un’atmosfera di soprannaturale, appagando così l’Intimo della coscienza che appartiene al Cielo. Ti consiglio, scandiva questo vecchio filosofo. di non farsi turbare da nessuno, di avere poche idee ma chiare come l’uomo sia, di esercitare le qualità dello spirito e di aver presente la convinzione che nessun mutamento od evoluzione, per usare una parola tanto cara ai tempi nostri, verrà ad alterare i confini fra lecito ed illecito, ad aggiungere una sillaba in più ai principi etici generali e a quello che all’uomo, in cerca di felicità, fu detto: sei nato per il Creatore, felicità assoluta. Dopo tanta bontà di parole, il vecchio, che si era già troppo attardato con me, deciso a tornare indietro, volle prima di lasciarmi, abbracciarmi forse a dimostrazione della sua intima soddisfazione per averlo attentamente ascoltato e sentito: intanto il sole declinava e anche io che pensavo di sognare serenamente ma pensoso, ripresi il cammino per la via maestra, fiducioso, guardando all’orizzonte. Tu, o uomo, che mi leggerai, rifletti. Ho voluto consegnarti il pensiero di un vecchio che ha vissuto così come tu vuoi vivere; la sua stanchezza del passato sia di ammonimento alla vanità terrena esaltata, ed esortazione alla faticosa conquista della felicità eterna, che sentiamo in noi come quella qualcosa che ci brucia di possedere, ma che il mondo non sa darci.
 

Salvatore Calabrese